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Spazio: da ENEA e ASI biotecnologie avanzate per il supporto alla vita sulla Luna
Sistemi innovativi basati sull’azione di batteri e insetti per trasformare i rifiuti prodotti dagli astronauti in fertilizzanti per coltivare microverdure utili come cibo fresco nelle missioni spaziali di lunga durata. È quanto ha realizzato l’ENEA nell’ambito del progetto ReBUS[1], finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI)[2], al quale partecipano anche Cnr, Istituto Superiore di Sanità (ISS), Thales Alenia Space Italia, Kayser Italia, Telespazio e le Università degli Studi di Tor Vergata, Pavia e Federico II di Napoli, quest’ultima nel ruolo di capofila.
Si tratta di veri e propri tecno-ecosistemi spaziali in grado di assicurare il riciclo ottimale di risorse, consentendone una gestione sempre più autonoma rispetto agli approvvigionamenti dalla terra. Questo obiettivo richiede l’applicazione di soluzioni sicure ed efficienti per una bioeconomia circolare spaziale che preveda la produzione di vegetali, fertilizzati utilizzando risorse in situ ottenute attraverso il riciclo dei rifiuti organici. La finalità è quella di garantire la produzione costante di cibo fresco per gli astronauti e allo stesso tempo ridurre i rifiuti e i costi del loro smaltimento.
“La nuova corsa all’esplorazione dello spazio, intrapresa dalle principali agenzie spaziali internazionali e da società private, si sviluppa attraverso il programma ARTEMIS coordinato dalla NASA, che prevede la realizzazione di basi sulla luna, il cui rifornimento non potrà essere assicurato costantemente da terra come sulla Stazione Spaziale Internazionale”, spiega Angiola Desiderio del Laboratorio Biotecnologie ENEA. “In questo contesto i rifiuti diventano una risorsa fondamentale da recuperare e riciclare, attraverso la realizzazione di sistemi biorigenerativi di supporto alla vita nello spazio, i cosiddetti BLSS (Bioregenerative Life Support Systems)”.
Oltre all’interazione tra uomo e piante, nei sistemi biorigenerativi è necessario introdurre anche organismi degradatori, in modo da creare un circolo virtuoso in cui ogni componente biologica utilizza come risorsa i prodotti di scarto del metabolismo delle altre.
Basandosi su dati NASA relativi agli scarti prodotti durante le missioni sulla Stazione Spaziale Internazionale, ENEA ha realizzato delle miscele composte da residui alimentari, salviette di cellulosa, parti non edibili della produzione di verdure (come radici, foglie e fusti) e anche urina umana,e le ha sottoposte a processi di bioconversione tramite due categorie di organismi degradatori: batteri che lavorano in condizioni anaerobiche e larve della mosca soldato (Hermetia illucens), una specie di dittero impiegata anche in impianti di compostaggio terrestri.
Dopo aver caratterizzato specifici consorzi batterici in grado di digerire l’organico e ridurlo in molecole utilizzabili dalle piante come nutrimento, ENEA ha analizzato i prodotti di digestione e li ha testati in esperimenti di coltivazione di microverdure, dimostrandone la potenzialità di impiego come fertilizzante. La stessa miscela di scarti è stata poi usata per mettere a punto metodi di degradazione con larve della mosca soldato, una specie particolarmente adatta alle applicazioni spaziali grazie alla limitata tendenza al volo, all’efficienza e alla rapidità nel processo di bioconversione e alla capacità di degradare matrici eterogenee e complesse.
I ricercatori dell’ENEA hanno studiato la degradazione in termini di efficienza di processo e di effetti sul ciclo vitale dell’insetto, permettendo di individuare condizioni ottimali di trasformazione degli scarti e di efficacia sulla crescita delle piante.
“La finalità delle nostre ricerche è di mettere a punto sistemi sostenibili, completi e funzionali per la rigenerazione delle risorse alimentari in ambito spaziale”, spiega Angiola Desiderio. “Ma il principio di sostenibilità – conclude - è di sicuro interesse anche per le ricadute sulla terra dove l’ottimizzazione nell’uso delle risorse sta diventando un problema che richiede soluzioni adeguate, secondo criteri di bioeconomia circolare. Mi riferisco, in particolare, a luoghi dove la produzione vegetale è limitata da suoli poveri di componenti fertilizzanti, come zone desertiche calde o fredde, o dove le condizioni ambientali (temperature estreme, contaminazioni ambientali, contesti bellici) costringono a coltivare in ambienti artificiali in cui riciclare efficacemente le risorse disponibili”.