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nanoparticelle acqua

Ambiente: da ENEA e Università di Pavia nuovo materiale che cattura inquinanti nell’acqua

Un team di ricercatori ENEA e Università di Pavia ha messo a punto un innovativo materiale in grado di catturare nanoparticelle d’argento disperse nell’acqua. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Molecules[1].

Le particelle ultrafini d’argento, di dimensioni inferiori ai 100 nanometri, hanno proprietà disinfettanti che le rendono uno dei prodotti più utilizzati nelle nanotecnologie, con una produzione annua che si aggira attorno alle 500 tonnellate. Sono utilizzate in dispositivi medico-sanitari, elettrodomestici, mobili, spazzolini da denti e abiti, il cui uso, lavaggio e smaltimento ne comporta la dispersione in acqua, dove possono resistere intatte per molti giorni.

Il nuovo materiale in grado di rimuovere le nanoparticelle d’argento dall’acqua si basa su un composto innocuo e inerte con cui si fa il vetro, la silice,che viene trattata con una tecnica, cosiddetta di nanoimprinting[2], che permette di ottenere cavità delle stesse dimensioni delle nanoparticelle d’argento da rimuovere dall’acqua. “Per questo studio ci siamo occupati principalmente della caratterizzazione dei monoliti di silice, prima e dopo la rimozione delle nanoparticelle”, spiega Maria Lucia Protopapa, ricercatrice del Laboratorio Materiali funzionali e tecnologie per applicazioni sostenibili del Centro Ricerche ENEA di Brindisi. “In particolare - prosegue - abbiamo condotto analisi chimiche, termiche e morfologiche tramite la microscopia elettronica a scansione ad alta risoluzione e, soprattutto, analisi porosimetriche per ottenere informazioni sulle dimensioni e la numerosità dei pori presenti sulla superficie della silice”.

“Grazie anche allo sfruttamento di particolari forze fisiche attrattive, le nanoparticelle entrano nelle cavità della silice di dimensioni corrispondenti. Quando hanno aderito ai frammenti di silice molto più grandi, possono essere facilmente rimosse dall’acqua”, spiega il professor Piersandro Pallavicini del Dipartimento di Chimica dell’Università di Pavia e coordinatore della ricerca.

Dai test di laboratorio è emerso che questo materiale è in grado di catturare efficacemente le nanoparticelle d’argento dalle acque: un grammo di silice nanoimprinted (la quantità contenuta in un dischetto di silice di 3 centimetri di diametro e mezzo centimetro di spessore) può rimuovere oltre 4 milligrammi di nanoparticelle d’argento che significa circa un milione di miliardi di nanoparticelle. Quindi, l’uso di silice con l’impronta di nanoparticelle potrebbe essere impiegato su larga scala per recuperare altri tipi di nanoparticelle, anche da acque reflue inquinate.

La collaborazione con l’Università di Pavia si inserisce in un più ampio accordo tra ENEA e Regione Lombardia per la valorizzazione del capitale umano, con ricadute dirette sul sistema della ricerca, dell’innovazione e sul territorio. Tale accordo ha consentito il finanziamento da parte di Regione Lombardia di 19 borse di dottorato di ricerca triennali (2019-2022) e la realizzazione di tre laboratori ENEA in Lombardia, due presso il Parco Scientifico Tecnologico “Kilometro Rosso” e uno presso l’Università di Brescia.

Figura 1 - Monoliti di silice contenenti nanoparticelle di argento da 100 nm di diametro.
Figura 2 - Immagini catturate al microscopio elettronico a scansione (FE_SEM), relative alla superficie di monoliti di silice contenenti nanoparticelle di argento da circa 100 nm di diametro, a sinistra; a destra la stessa superficie “nanoimprinted”, cioè dopo la rimozione delle nanoparticelle: si possono notare le cavità corrispondenti (fonte: https://www.mdpi.com/1420-3049/28/10/4026)

Per maggiori informazioni:

Personale ENEA di riferimento

Maria Lucia Protopapa:

Laura Capodieci:

Daniela Carbone:

Personale Università di Pavia di riferimento

Piersandro Pallavicini:

Note

[1] Lo studio rientra nell’ambito di un dottorato di ricerca in Scienze Chimiche e Farmaceutiche e Innovazione Industriale finanziato dalla Regione Lombardia.

[2] Nanoparticelle d’argento preparate dai laboratori dell’Università di Pavia nelle dimensioni desiderate vengono disperse in una soluzione liquida dalla quale, per semplice essicamento, si forma la silice solida (chiamata gel), con le nanoparticelle intrappolate all’interno. Queste sono poi sciolte con una procedura green (per esempio, per esposizione all’aria in presenza di determinati aminoacidi), l’argento viene liberato, recuperato e riciclato e si ottiene una silice solida con le cavità identiche alle nanoparticelle che sono state sciolte. E a questo punto il materiale è pronto per catturare in modo selettivo e rimuovere dall’ambiente nuove nanoparticelle d’argento disperse nelle acque.

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