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Salute: ENEA, le infiammazioni intestinali hanno ripercussioni sul cervello
Le infiammazioni dell’intestino possono compromettere l’area del cervello coinvolta nei processi cognitivi. È quanto emerge da una ricerca svolta nel Laboratorio ENEA di Tecnologie biomediche, che approfondisce, in particolare, gli effetti della colite cronica e acuta sulla formazione di nuovi neuroni (neurogenesi) nell’ippocampo. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Neural Regeneration Research.
“Negli ultimi anni l’interazione tra intestino e cervello è diventata un tema di crescente interesse e diverse ricerche hanno evidenziato come le alterazioni del microbiota intestinale[1] possano causare obesità, diabete e patologie autoimmuni, ma anche essere associate a disturbi psichici e cognitivi come ansia, depressione, attacchi di panico e malattie neurodegenerative come il Parkinson e l’Alzheimer. I meccanismi di questa interazione restano ancora però in gran parte sconosciuti”, spiega Simonetta Pazzaglia, responsabile del Laboratorio ENEA di Tecnologie biomediche e coautrice dello studio insieme ai colleghi Roberta Vitali, Clara Prioreschi, Eleonora Colantoni, Daniela Giovannini, Sarah Frusciante, Gianfranco Diretto, Mariateresa Mancuso e Arianna Casciati.
I risultati ottenuti in laboratorio mostrano chiaramente che la colite si associa alla comparsa di neuroinfiammazione e di significative alterazioni nella produzione di nuovi neuroni da parte dell’ippocampo. Inoltre, la ricerca rivela che in presenza di infiammazione intestinale si genera un’alterazione chimica del metabolismo degli amminoacidi, dei lipidi e della vitamina B1 (tiamina), quest’ultima fondamentale per la vita delle cellule e per il normale funzionamento di cervello, nervi e cuore. “Queste alterazioni[2] sono correlate a patologie come la sindrome dell’intestino irritabile, il morbo di Crohn, la colite ulcerosa, il cancro del colon-retto e l’autismo a conferma che altri tipi di disturbi mentali potrebbero essere associati all'infiammazione intestinale e allo squilibrio metabolico”, prosegue Simonetta Pazzaglia.
Invece, non è stato ancora possibile dimostrare con chiarezza, in questo sistema, se la perturbazione dell’asse intestino-cervello possa facilitare l’insorgenza di tumori cerebrali (oncogenesi), come il medulloblastoma, sebbene questa ipotesi sia ad oggi accreditata in relazione a tumori del tratto gastrointestinale.
“Questi risultati indicano che l’infiammazione intestinale non è un fenomeno isolato, ma può influenzare la salute dell’organismo, alterando i metaboliti che possono avere un impatto sul cervello. Studiare i meccanismi che regolano questa complessa rete di comunicazione bidirezionale tra i due organi sarà molto utile per individuare nuove strategie terapeutiche per l’infiammazione intestinale, reintegrando correttamente la flora batterica oppure usando farmaci di nuova generazione o anche molecole di origine naturale”, sottolinea la ricercatrice ENEA.
Le evidenze scientifiche accumulate negli ultimi dieci anni hanno suggerito che questo collegamento può rappresentare anche un nuovo bersaglio terapeutico per il trattamento delle malattie neurodegenerative. “Curare il microbiota intestinale specifico dei pazienti potrebbe alleviare anche i sintomi neurologici nelle malattie neurodegenerative, la malattia di Alzheimer e di Parkinson”, conclude Simonetta Pazzaglia.
L’incidenza delle malattie infiammatorie intestinali è elevata nei paesi industrializzati ed è in costante aumento anche nelle economie emergenti, dove i pazienti spesso devono sostenere ulteriori costi associati alle “comorbilità”, ossia la coesistenza di più patologie diverse in uno stesso individuo, che in questo caso riguardano i disturbi mentali. Ricerche internazionali hanno evidenziato un tasso doppio di depressione nei pazienti con infiammazioni intestinali e un aumento del rischio di cancro intestinale (e di una varietà di tumori maligni extra intestinali), che rappresenta la seconda causa di morte più comune dopo le malattie cardiovascolari.